Atti estranei all'oggetto socialeLa voce dell’avvocato

Le implicazioni del compimento di un atto estraneo all’oggetto sociale sono diverse, con risvolti sia “interni” alla società sia “esterni”, nei confronti dei terzi.

L’oggetto sociale va inteso come la specifica attività che i soci (stipulando il contratto di società) decidono di esercitare in comune e che la società si propone di svolgere.
La Giurisprudenza ha tradotto la definizione dell’oggetto sociale individuandolo come limite al potere rappresentativo degli amministratori, “i quali non possono perseguire l’interesse della società (lo scopo di lucro) operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta fatta nell’atto costitutivo dai soci, che hanno indicato una specifica attività (o più specifiche attività), nella quale soltanto hanno inteso rischiare il capitale investito” (ex plurimis Cass. civ., Sez. I, 21 novembre 2002, n. 16416).

Ciò significa (per offrire un piccolo ventaglio di esempi) che una società avente come oggetto sociale la sola commercializzazione di un prodotto, non potrà produrre il prodotto medesimo o che una società che offre servizi, non potrà compiere attività di natura industriale o di natura immobiliare, fatta eccezione per le ipotesi in cui (come dopo si dirà meglio) non si tratti di atti sporadici e di natura strumentale rispetto all’attuazione dello scopo sociale.

L’art. 2380bis 1°co c.c. afferma testualmente che “La gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”.
La previsione del divieto per la società di compiere atti estranei all’oggetto sociale rientra nell’ottica della tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’impresa.

Per ciò che attiene i risvolti interni alla società, oltre a una possibile azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, i soci potrebbero invocare infatti l’inefficacia dell’atto compiuto in nome e per conto della società dagli amministratori.Quanto invece alle conseguenze verso i terzi, ci si deve rifare a quanto disposto dal II comma dell’art. 2475-bis c.c. per il quale un atto adottato dagli amministratori di una società che eccede i limiti dell’oggetto sociale è valido ed efficace nei confronti dei terzi salvo il caso in cui quest’ultimi abbiano agito in danno della società (Trib. Roma, Sez. III, 28 aprile 2011).

A tali conseguenze di natura giuridica, vanno aggiunte anche quelle di natura fiscale.
Infatti per ogni società, al momento della registrazione, va scelto un Codice ATECO che identifica l’attività che la società andrà a svolgere e, quindi, il proprio oggetto sociale.
Il codice ATECO è importante ai fini della dichiarazione IVA e degli Studi di Settore.
Così, se la società compie atti diversi da quelli che rientrano nel proprio oggetto sociale, rischia di effettuare una dichiarazione IVA e degli Studi di Settore non conformi all’attività effettivamente svolta, con intuibili conseguenze di natura fiscale.
Gli unici atti che invece la società può compiere diversi da quelli rientranti nell’ambito dell’oggetto sociale, sono quelli alla attuazione di questo strumentali (c.d. “atti tipici”).
Sul concetto di strumentalità degli atti rispetto all’oggetto sociale, molto è stato scritto in Dottrina e Giurisprudenza.
In ogni caso, senza volersi in questa sede soffermare oltre, si evidenzia come il compimento di atti in violazione dell’oggetto sociale può avere gravi ripercussioni sia di natura giuridica, sia di natura fiscale.
E se è pur vero che in talune ipotesi le attività al di fuori dell’oggetto sociale sono dalla legge (civile e fiscale) permesse, è pur vero che le ipotesi necessitano di un’attenta analisi che dovrà essere necessariamente preventiva perché solo una analisi preventiva permette di conservare all’oggetto sociale la sua funzione di garanzia.

Claudia BLANDAMURA

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